Una volta ho letto un libro: Kids and Revolution. All’inizio l’autore fa una specie di premessa in cui racconta che da quando era piccolo, prima di addormentarsi, aveva bisogno di controllare sotto il suo letto per assicurarsi che non vi fossero mostri. Così cresce con questa abitudine, ma verso i ventotto anni, cominciando a sentirsi ridicolo, decide di farla finita di sbirciare sotto il letto. Tuttavia una notte di pioggia, in cui si sentiva particolarmente spaventato, racconta di essersi concesso ancora una volta il suo rituale, così accade una cosa spaventosa..

I Palkosceniko al Neon, che gentilmente mi hanno concesso l’esclusiva del loro nuovo  lavoro, Lucas, sono un po’ come l’angoscia delle notti di pioggia. La particolarità di questa formazione romana dal sound decisamente hardcore, è la ricerca di un espressione musicale decisamente claustrofobica che viene rappresentata con una forma violenta costruita attraverso suoni acri e testi particolarmente rabbiosi. Quello che ne viene fuori è un arancia spappolata su un muro, una corsa in una strada senza via d’uscita che ha il senso della fuga più che del footing.

Non è la malinconia dei Massimo Volume, ne’ l’irriverenza del Teatro degli Orrori. È qualcosa di più basilare, immediato ed acerbo. Ritmiche ostinate, muri di chitarre compatti e massicci, testi urlati a squarciagola, spesso a due voci, rendono bene il senso di un disco che esprime una forte ingerenza nei confronti del presente. Un ingerenza espressa con chiarezza dalle voci che vogliono farsi comprendere bene, senza growl o camuffamenti. Tutto chiaro. I Palkosceniko scelgono la via del reietto che non risparmia niente a nessuno. La Politica, la società, l’angoscia che schiaccia negli ingranaggi del lavoro, la paura e la misantropia generati da questi stessi meccanismi sono gli imputati che vengono giudicati nel loro processo. Ma scordatevi i luoghi comuni da giovani insoddisfatti, non è questo il caso. La critica è lucida, sincera, pensata ad alta voce, volta a trovare soluzioni e a stimolare la ragione di chi ascolta.

Contenuti a parte, Lucas è anche un disco di ottima fattura, curato nei minimi dettagli, nell’audio come nella grafica, un elemento particolarmente valorizzato nei dischi di questa band.

Il consiglio a questo punto è di andare ad un loro concerto e di acquistare questo disco, di tornare a casa e di ascoltarlo. Poi ne riparliamo.

LaPunk

Cristina Yang

In una serie di Grey’s Anatomy accade un colpo di scena: Cristina Yang non vuole più operare e si mette a fare una serie di altre cose che non c’entrano molto con la medicina, ma che le consentono di non pensare a quello che sta lasciando e al perché. Poi sente una specie di richiamo della foresta (in questo caso un’ambulanza) e si rimette a praticare il suo lavoro di sempre.

A volte mi chiedo perché le cose che ci piacciono siano proprio quelle che ci spaventano di più, tanto da allontanarci. Sono giunta a due conclusioni. Una è che forse determinate persone gestiscono peggio di altre i loro doni e che sia solo una questione di amministrazione delle proprie risorse. L’altra è che la maggior parte di questi problemi vada archiviata sotto la voce seghe mentali, la cui unica soluzione è mettersi a fare quello che piace, senza pensarci più di tanto.

Mentre ci ragionate posso dirvi che quest’ultimo periodo è stato intenso, pazzesco. Ed è forse per una risultante di diversi movimenti facenti capo al suddetto periodo che lo scorso sabato sono andata al Traffic e ho ascoltato due gruppi con cui già in passato ho avuto a che fare: i Deflore e i Tomydeepestego.

Se dovessi spiegarvi i Deflore e il loro approccio alla musica vi citerei un film come Strange Days o Johnny Mnemonic. Avete presente quelle scene con dei gruppi che suonano in locali vagamente industriali, con vestiti cyberpunk e componenti metalliche mischiate alla pelle? Ecco, i Deflore sarebbero perfetti come colonne sonore di film di questo tipo. Un duo con un ottimo gusto che si palesa in una bella fusione di melodia e freddezza chirurgica. Suoni cupi su ritmiche invasive e claustrofobiche perfettamente valorizzate dalle linee di basso prepotenti e tuonanti che aggiungono la profondità più tenebrosa all’ossessione della chitarra. Niente batteria. Computer, synth e qualche altra diavoleria, lavorano insieme alle componenti umane per dare vita ad un Frenkestein sonoro, industriale e martellante, che li vede un po’ sacrificati in serate di puro ascolto, o poco interattive come quella di sabato. La musica dei Deflore, per come la vedo, è roba che va vissuta in posti pieni di gente, ballata, lasciata salire come la migliore anfetamina, magari mentre fuori si verifica qualcosa di apocalittico. Per farla breve è energia che va impiegata e trasformata, non lasciata lì a spegnersi.

Di tutt’altro avviso sono invece per i “Tomyecc..”. Codesti si inseriscono bene in una serata che a come  fil rouge le derive strumentali del noise, in particolare il post rock, e meritano un ascolto poco invasivo, riflessivo, direi. I Nostri hanno regalato ai presenti una performance intensa, a colori freddi come un disco dei Sigur Ros, fantasiosa come un disco dei Mùm. Due chitarre, un basso e una batteria, più qualche inserto fuori campo, per dare vita a dei pezzi oscillanti tra momenti aggressivi e pesanti come pezzi di piombo, in perfetto stile doom, e suoni aperti e luminosi che ritengo siano la parte più interessante del loro repertorio. Limpidi, estatici e bene equilibrati, con armonizzazioni gustose ed emotivamente molto coinvolgenti, ho trovato questi Tomydeepestego davvero interessanti, del tipo che vi ci potreste anche un po’ perdere dentro.

Subsound Records è il marchio che segna queste due realtà mute che vi invito caldamente ad ascoltare.

Per quel che mi riguarda, sono tornata ad operare.

LaPunk

…abbiamo suonato dentro garage freddi con le pareti bianche
e dentro locali o in festival estivi con grandi impianti
davanti a venti amici sudati uno sopra l’altro
o a pubblici attenti mai scomposti
aprendo a gruppi famosi o con altri come noi
di splendidi perfetti sconosciuti

…abbiamo suonato al nord al sud e qui,
tra le battaglie della Val Susa e il Crash di Bologna
le Macerie di Bari l’hardcore leccese il Leoncavallo
Pescara Udine Monfalcone Ascoli Piceno Napoli Caserta
e poi di nuovo Milano alle tre di notte
Torino, vecchia grigia e spaventosa
e Grosseto, in riva al Mare di pomeriggio presto

il Forte l’Acrobax Il Villaggio Globale
la Strada lo Spartaco il Corto Circuito
le occupazioni abitative dall’8 Marzo ad Area Ingovernabile
l’Ateneo occupato di Acilia lo Zk a Ostia
il Volturno Il Decolliamo Il Puebblo
l’Horus il Kollatino lo Strike L’ex snia
le strade di Roma le radio di Roma
quelle grosse quelle che stanno dentro una stanza
o dentro un pc

si è vero, tutto questo l’abbiamo fatto
assieme a tre demo,un disco..e uno nuovo alle porte
e oggi sono carico di attese come ogni volta in questo periodo

penso a quello che scriveranno del disco nuovo,se lo scriveranno…
penso a tutti quelli a cui siamo indiferrenti
e che sono molti di piu di quelli a cui abbiamo lasciato qualcosa
e questo mi fa chiudere quello spiraglio che di solito
è una porta spalancata

ma basta un commento una birra un sorriso un invito
un “vi ho fatto alcuno foto,ve le mando al piu presto…”
“regalame il disco che non c’ho na lira!!!
una maglietta..”
gli altri gruppi che diventano parte di noi
di quelli che consideriamo come fratelli sorelle
madre e padre

volevo scrivere dei gruppi che ho visto nascere
di quelli che ho visto finire…per una donna o una moglie
perchè il batterista trova lavoro alla pirelli e sparisce
o perchè qui non c’è nient’altro da fare

volevo scrivere di tutto quello che c’è dietro ai gruppi
il leccaculismo la ruffianeria i conflitti
i testa a testa il paragonarsi

ma sopratutto volevo fare i nomi
si, i nomi di quelli che mi piacciono
di quelli che seguo e di quelli che non seguo più
deluso, di quelli che reputavo amici e che oggi
sono svaniti come pioggia fina in un bicchiere mezzo pieno di niente

volevo dire che ci sono gruppi che si comprano tutto
che si comprano le recensioni le interviste persino i concerti
che suonano in locali migliori di quelli in cui suoniamo noi
ma non mi va

no, non mi va
preferisco scivere che sono soddisfatto di questa piccola storia
che vorrei vedere crescere sempre di più ma che tutto sommato mi esalta
così com’è
nonostante piccola o mediocre
nonostante quello che abbiamo dato e non abbiamo ricevuto
quello che non abbiamo potuto comprare
quello che non abbiamo meritato

nonostante tutto questo
e tutto quello che poteva essere
consapevoli che basta un palcoscenico a fare un gruppo
un po di rumore
fomento ritmo e quattro parole di violenza
sputate qua e là

“Lucas” Out:7.5.2011
Ciccio/palkosceniko al neon

Ooo hii ah ah

La serata comincia in modo pessimo. Affidandoci agli orari riportati in rete arriviamo sul posto alle 9:30, trovando ad accoglierci silenzio e balle di fieno, di quelle che si vedono nei film western. Cacchio, è vero, è sabato. Passeggiata per il Pigneto e ritorno. Alle 11, finalmente, si comincia.

A fare da spalla al duo palermitano formato da Alessandro Alosi (voce e chitarra) e Gianluca Bartolo (dodici corde) ci sono i Criminal Jokers, promettente trio pisano. L’alchimia è davvero buona, e l’aggiunta di batteria, chitarra elettrica e basso ci restituisce ogni brano con la stessa pienezza della versione studio. L’apertura è affidata al rok’n’roll di “Blu Laguna” e nonostante il mio istantaneo fomento l’atmosfera intorno a noi è assolutamente moscia. Ci rimango abbastanza male. Di brano in brano però il pubblico, in un coinvolgente crescendo country e folk, si scalda. Arrivano “Coltiverò l’Ortica”, “Il Mistero dello Specchio Rotto”, “Il Pan del Diavolo”, strillate senza pietà. L’acme arriva con un’inaspettata cover di “Surfin’Bird” dei Trashmen, che mi fa felice come un novello Peter Griffin*. Un “Hoooooooooooo” collettivo del pubblico chiama “Bomba nel cuore”, due minuti prepotenti incisi su disco con la partecipazione degli Zen Circus. Alessandro, sorridendo, raccoglie l’invito e attacca. Decisamente trascinante. Si prosegue con “Pertanto”, “Sono all’Osso”, “Centauro” e “Fiori”, tratto dal primo EP. Mi diverto, è tutto ben eseguito, coinvolgente, allegrotto. Però mi sa che “Ciriaco” non la fanno però. A chiudere la scaletta “Università”, che il gruppo dedica a tutti noi. Dio che mi hai lasciato un altro anno all’Università: quanta saggezza. Saluti. Arriva il bis, e per una volta è reale. Stavolta “Blu Laguna” crea quella sana e gioviale caciara che tanto mi era mancata a inizio concerto. “Ciriaco” non l’hanno fatta. Mestizia.

Concerto spensierato ma, causa lo scarso numero di canzoni edite, troppo breve. Tuttavia il progetto musicale del duo siciliano è originale e ben suonato, e in questa formazione-live allargata ancora più efficace. Nota di merito anche per i Criminal Jokers: davvero promettenti. Torno a casa sorridendo.

Ogniadolescenza

* per i non-fan dei Griffin: http://video.libero.it/app/play?id=a839d208cdaa7c716e5071b8f651a5f6

L’Antimusicista. Come together.

E invece, eccomi di nuovo qui. Sono tornata perché sono invasiva, e perché voglio lasciarvi un po’ della mia musica, un ammasso di canzoni vecchie e nuove per festeggiare quest’anno. Sono un ascoltatrice distratta, quindi non vi lamentate se non ho messo il vostro gruppo preferito. Probabilmente nemmeno lo conosco. Quello che segue è un elenco molto parziale di musica ascoltata in fazzoletti di tempo minuscoli, dove per rilassarmi devo fare in fretta e non mi devo far vedere da nessuno.

Brian Jonestown Massacre.
Come avrete capito, io adoro questo gruppo. E questo disco, Thank God for Mentall Illness. Mi piacciono i malati di mente, mi piace la pazzia e mi piacciono le cliniche psichiatriche. Perché hanno dei giardini che farebbero morire d’invidia chiunque. E perché dentro una di queste cliniche un tipo mi ha rivelato il segreto della vita.
Il pezzo di chiama Spanish Bee.
Look at my life. I’m living free.

Alessandro Fiori
E’ stata una piacevole scoperta. Bellissima musica e splendidi testi. Fiabe contemporanee.
Mi riesce difficile capire perché questo non sia il pop in Italia. Anzi sì. Inizio a credere che la colpa sia nostra. Tu riposa un po’ mentre io faccio il borderaux. Blocca.

The National
Potere al dark pop americano, all’ombra, alle caverne, alle voci profonde e ai tempi dispari. Mi ci vuole un po’ per scoprire queste cose. Ora devo scoprire il disco nuovo.

Massimo Volume
Pensavo che non li avrei mai visti dal vivo. E invece sono tornati. Li ho ascoltati per la prima volta due anni fa. Erano le sei del mattino e Clementi recitava “La settimana scorsa mi ha telefonato mia madre Mi ha detto ‘Senti Mimì, non è ora che torni a casa e ti trovi un lavoro serio?” A quella domanda, a mia madre, ho risposto che alla musica non c’è alternativa. Dio che freddo quella mattina.

Bologna Violenta.
Concettualmente è il progetto più originale che ci sia in Italia in questo momento. Grandissimo artista, anomalo, patologico, nel suo disco festeggia la fine, traumatica, bellissima. Solo chi ha una profonda consapevolezza della morte può sperare di ricominciare a vivere. Magari con un po’ di bervismo. L’uomo? Questo è il suo ultimo atto.

Vessel
Come se il decennio trascorso fosse stato l’ultimo decennio della storia, un elenco, perché abbiamo paura di dimenticare, perché fra poco se ricorderemo sarà solo per sbaglio, perché del presente non sappiamo più cosa farcene, perché se andremo troppo avanti, non ricorderemo mai più.

Madame Lingerie
La storia di una donna che sta ritrovando se stessa. Con quell’eleganza e quella forza che solo le vere canzoni rock sanno avere.

Betty Poison
Il pezzo si chiama Time, sarà nel loro disco nuovo. E’ un pezzo che io ho sentito nascere. Come ho visto nascere loro. E stasera me li festeggio prima della loro partenza per gli U.S.A.
Che il tempo sia tuo, non di chi non c’è.

E poi
e poi per esempio ci sono le playlist della Banale su heyfu.com, o come diavolo si chiama. Quando riesco ad acchiapparle su fb le ascolto molto volentieri. Fatelo anche voi.

Arrivederci.
State bene, sempre in guerra con voi stessi, sempre in pace col mondo

Donna Luminal

L’Antimusicista. Facciamo amicizia?

La proposta di Flavia di scrivere per questo blog arriva in una notte gelata. Siamo all’Angelo Mai, sul palco ci sono i Nokeys, gruppo di Parma che ha appena iniziato a suonare un’ottima new wave, noi ci scambiamo qualche parere e qualche complimento, un po’ li ascoltiamo e un po’ urliamo e un po’ facciamo buffe espressioni perché non ci sentiamo bene, Flavia, La Punk, mi spiega i motivi di questa idea e io le dico che mi piace, un po’ mi stupisce, e un po’ m’imbarazza, e a dirla tutta un po’ mi confonde, perché è sempre difficile entrare nell’intimità di qualcun altro senza fare danni. La Punk e La Banale sono due ragazze speculari, le vedi ai concerti sempre insieme, non riesci mai a capire esattamente cosa stiano pensando ma sai per certo che stanno analizzando la situazione, il giorno dopo scrivono di musica come se fossero una persona sola e di sicuro di musica ne sanno molto più di me. Io invece in in queste ultime settimane sono sicura di non sapere più nulla, sto aspettando e sono di cattivissimo umore, una bestia gobba, un nervo teso, non ho musica fra le mani che sia racconto, per raccontare qualcosa devi avere un legame con la realtà, ma io e la realtà in questo periodo proprio non andiamo d’accordo. Però insomma, quando è difficile bisogna sempre provare. Magari io mi tengo la mia attesa e intanto noi vediamo se ci piacciamo. Potremmo provare a fare amicizia.
Facciamo amicizia?
Mi presento. Sono la Donna dei Luminal, e quello di cui parliamo oggi è un massacro. Perché la musica è un gioco al massacro, perché decidi di vivere secondo le tue regole, fuori dalla realtà, fuori dalla società, fuori dal mondo. Quel massacro mi aspettava a casa, di ritorno dall’ospedale, una settimana prima del concerto dei Luminal a Villa Ada con Il Teatro degli Orrori. E’ Giugno. Sei ancora debole, metti su una canzone, ti ci riconosci e il gioco è fatto. Ora vago su Amazon cercando tutti i loro dischi. Dannazione, quest’ anno mi è tornata voglia di comprare dischi. Non è splendido? C’è dell’ottima musica in giro, ve ne siete accorti o state ancora piagnucolando e farfugliando qualche giudizio su quello che non vi piace, su quello che non vi sembra sincero, su quello che non sembra giusto?
Anton Newcombe, oltre ad essere il cantante dei Brian Jonestown Massacre è un tipo che prende a calci chi parla e non lo ascolta durante un suo concerto (“Forza, esci fuori dal buio, fatti vedere, fai vedere chi sei.”), che prende a pugni gli altri musicisti della band sul palco se sbagliano le parti, che non ha mai firmato un contratto discografico decente nonostante le suppliche delle major (privando, fra l’altro, un sacco di gente di tanta buona musica), che chiama un disco Thank God for Mental Illness e un altro Who killed Sgt. Pepper con tanto di Gesù Cristo sofferente in copertina, che quando suona, ti dà tutto se stesso, e che conosce tutte le regole di quel gioco al massacro, e che non ne ha rifiutata nemmeno una. The Ballad of Jim Jones è la canzone di quel giorno di Giugno, ma i dischi consigliati sono tutti. E guardatevi anche DIG!, un documentario sulla loro storia, e capirete perché quell’uomo mi fa credere di non essere poi così fuori di testa. Totalmente libero, anche se il prezzo da pagare è spaventosamente alto.

Per oggi mi fermo qui, sulla porta. Per quanto mi riguarda, è stato un piacere. Non so se ritornerò da queste parti prima dell’ anno nuovo. Diciamo che “me faccio risentì io”, come direbbe il Libanese.

state bene, sempre in guerra con voi stessi, sempre in pace col mondo

Donna Luminal

Riferimenti:

Brian Jonestown Massacre
-Thank God for Mental Illness 1996
(The Ballad of Jim Jones, traccia 4)

– Who killed Sgt. Pepper 2010

DIG! , documentario di Ondi Timoner, 2004

Libano, personaggio di Romanzo Criminale, la serie

20/06/2010 Luminal + Il Teatro degli Orrori, Villa Ada, Roma

Donna Luminal, cantante e chitarrista dei Luminal, scrittrice, libera pensatrice.

Bacini, dub e rock’n’roll

Serata fortunata. Non piove, non fa freddo e trovo anche parcheggio a un tiro di schioppo dal Circolo. Gaudio e giubilo. L’esperimento reggae di “Primitivi del Futuro” dei Tre Allegri Ragazzi Morti non mi ha convinto in toto, ma ad ogni modo l’aver avuto il coraggio dopo quindici anni di punk-rock di mettersi in gioco con un genere completamente diverso è cosa apprezzabile e da lodare, indipendentemente dal prodotto finale.

Birra preliminare ed eccomi dentro, alla ricerca del banchetto dei TARM per comprare la maschera. Finalmente sono un ragazzo morto anch’io. Qualche minuto ed entrano quelli veri, Molteni, Masseroni e Toffolo, assistiti sul palco dalla chitarra aggiunta del “topo” Stefano Pasutto, nascosto dietro il cappellone da roditore. L’avvio è tutto reggae: “Primitivi del futuro”, “Mina”, “Puoi dirlo a tutti”, “La faccia della luna”, “La ballata delle ossa”, e una bella versione acustica di “Codalunga” cantata e suonata dal solo Toffolo. Questo esordio fa un certo effetto, ma il risultato è piacevole. C’è chi apprezza di più, chi di meno, ma a occhio e croce si stanno divertendo tutti. Bello. La serata decolla definitivamente con le canzoni di vecchia data: “Il principe in bicicletta”, “Ogni adolescenza”, “Bella Italia”, “Voglio”. La forsennata “Signorina Primavolta” crea scompiglio tra le prime file, mentre vado in estasi subito dopo per “Batteri”: quei trenta secondi valgono da soli il prezzo del biglietto, e sono felice come una Pasqua. Ci si rituffa in sonorità caraibiche per qualche minuto, e storco un po’ il naso quando i ragazzi di Pordenone si lanciano in un medley di brani anni ’90 – tra cui “Quindic’anni” e “Fortunello” – rivisitati in chiave reggae. Non mi fa impazzire, ma comunque non intacca il bilancio finale della serata. Bis. Toffolo entra richiamato, come rituale, dai vaffanculo del pubblico: La vita è cattiva ma non l’ho inventata io, il concerto di Tre Allegri Ragazzi Morti finisce qui!”, dice, ma sappiamo tutti che non è vero. Si ricomincia. “Mio fratellino ha scoperto il rock’n’roll”, “Francesca ha gli anni che ha”, “Questo è il ritorno di Gianni Boy”, “Occhi bassi”. Quasi vorresti che non finisse mai, e invece finisce. I saluti finali arrivano sulle note de “La tatuata bella”, cantata a cappella da tutti e quattro. Stage diving di Masseroni, lancio delle mascherine, applausi e ciao a tutti.

Da un concerto così si esce in pace col mondo. Torni adolescente per un’ora e mezza: balli, canti, urli, completamente svuotato dai pensieri del lavoro o dell’università. Torni ai primi innamoramenti, alle litigate coi genitori, alla bicicletta. Un’oasi di felicità. L’incredibile spetaculo de la vida, l’incredibile spetaculo de la muerte.

Ogniadolescenza

 


Scuoti i miei angeli drogati

Non so bene come affrontare un report del genere, per due motivi. Il primo è che adoro i Massimo Volume e l’imparzialità non so cosa sia quando parlo di loro. Il secondo consiste nel fatto che è stato un concerto meraviglioso che (nonostante tale Victor abbia cercato di sabotare in tutti i modi con una serie di discorsi rivolti alla sottoscritta mentre i nostri suonavano) mi ha emozionato davvero tanto, a tal punto che non saprei da dove iniziare per darvi un idea dell’intensità di quell’onda emotiva che i Massimo Volume sono riusciti a trasmettere da quel maledetto palco. Ma le situazioni esigono sempre ordine quando vengono riportate e una parentesi degna di nota la meritano anche quei gran signori dei Bachi da Pietra, che hanno ingannato la nostra attesa in maniera degna con il loro stoner sibilante come un serpente a sonagli. Sensuali e ammiccanti sussurrano note suadenti, infuocando con arie roventi e desertiche l’umidità che regna all’esterno. Suoni eccitati com labbra dischiuse che si dipanano tra le ritmiche di una batteria essenziale e i magneti di una Stratocaster vissuta, suonata da Giovanni Scucci (ex Madrigali Mari) come se fosse un basso, con le dita, producendo effetti sconnessi e rumorosi, ma densi e compatti. Quasi bacia il microfono. Non è bello, ma è sexy, o forse è la magia di quello che suona e di come lo suona a renderlo tale. Guarda Bruno Dorella (Ovo e Ronin) con aria di assenso quando lasciano svanire l’ultima traccia per lasciare posto a loro, i Massimo Volume, ospiti attesi della serata.

È il loro momento. Salgono sul palco e senza troppe presentazioni iniziano a suonare, partendo dai pezzi di Cattive Abitudini. Ora si che l’aria diventa pesante, quasi claustrofobica, pregna di bellezza, grondante di emotività. “ Io non ti cerco, io non ti aspetto, ma non ti dimentico” non si può rimanere impassibili al suono di Le Nostre Ore Contate, non si può rimanere impassibili quando le parole cadono dal cielo come fossero stelle e “la poesia quotidiana”, come mi piace definirla, riempie note piene di senso. I crescendo noise, gonfi di suoni che esprimono dolcezza, malinconia, rabbia, suggestioni piovose e assolate, colori freddi e oscurità si susseguono tremanti e diretti sotto i colpi della batteria di Vittoria e le note basse di Mimì, raggiungendo il cielo con le acute e pungenti chitarre di Egle Sommacal e Stefano Pilia. Così ci accarezzano  La Bellezza Violata, Litio, Avevi Fretta di Andartene, Tra la Sabbia dell’Oceano, Fausto, nel remake live di tutte le Cattive Abitudini contenute nel disco che cedono il posto a vecchie glorie come Lungo i Bordi, Il Primo Dio, Fuoco Fatuo. Ed è così che ci troviamo a girare dentro i labirinti celebrali di Clementi che non ha bisogno di altro, oltre le sue canzoni, per parlare con noi. I nostri Danno tanto sul palco, sono stanchi ma non riescono a smettere. Escono due volte ed “il momento di piacere massimo” me lo regalano in chiusura con Le Vedute dallo Spazio e Ororo, un brano che non mi si sente più sul cd per quante volte lo ho ascoltato. Grazie a voi, di questa bellezza inviolabile.

LaPunk

Arrivo a viale de Coubertin che strabordo scetticismo. “Per ora noi la chiameremo felicità” (salvo alcune canzoni) non mi ha convinto a pieno, e alcune critiche mosse a Vasco Brondi aka Le Luci della Centrale Elettrica le trovo tutto sommato giustificate. Mi aspettavo un disco diverso, ma forse sono io ad essermi fatto troppe aspettative.

Entriamo. I posti sono buonissimi, un’onestissima settima fila, se non fosse che due file più avanti si siedono prima Giuseppe Peveri aka Dente, indi Enrico Molteni (allegro ragazzo morto). – Checculo! Dopo mi ci faccio la foto – penso. Intanto si apre il sipario.

Neanche un “ciao” o un “buonasera”, ma parte in direttissima “Una guerra fredda”. Nessun club o locale regalerà mai l’acustica di un posto di questo genere. Sembra non sfuggire neanche una nota, non un suono distorcersi. Il violino di D’Erasmo (Afterhours) si incunea pulito sottopelle, sia quando l’accarezza quasi in contemplazione sia quando lo prende a ceffoni come il peggiore degli amanti. Gli fanno eco la tastiera e la chitarra di Gabrielli (mille collaborazioni con mille artisti) e Pilia (Massimo Volume), perdendosi al fianco di Vasco tra “I Nostri Corpi Celesti”, “Cara Catastrofe”, “Anidride Carbonica”. La magia vera (e brano che aspettavo di sentire più degli altri) arriva col crescendo irreale di “Quando Tornerai Dall’Estero”, che si conferma il brano migliore del disco anche in versione dal vivo. Lo spettacolo è assolutamente godibile, coinvolgente, e l’impressione generale che comincio ad avere è che la dimensione ideale dell’album non sia l’incisione su cd ma il live. E sembra quasi che Brondi si rivolga al mio scetticismo iniziale e ai critici musicali che hanno bocciato il disco quando, introducendo ogni canzone, ripete a mo’ di nenia, “Questa è una canzone nuova, ma somiglia a quelle vecchie.” Il che è anche abbastanza vero, ma ora che sono immerso in questa meraviglia non me ne frega niente. La scaletta privilegia ovviamente il secondo album (riproposto per intero), salvo alcuni flashback targati 2008 (“Piromani”, “La Lotta Armata al Bar”,“Fare i Camerieri” e “Per Combattere l’Acne”). E nel mucchio vecchio/nuovo trova splendidamente posto anche “Bene”, cover di un De Gregori annata ’74 che sembra scritta l’altro ieri dal buon Francesco apposta per il ferrarese. Il concerto si chiude con “Per Respingerti In Mare”, non prima di una lettura ispirata a quel piccolo capolavoro che è “Verde” dei Diaframma (recitata la prima volta in un recente duetto dal vivo – magguardaunpo’ – con Dente). Saluti, alla prossima, e tutti ad aspettare il bis. Nel buio della pausa Dente sgattaiola via nell’ombra. Addio foto. Riesce Vasco, e accompagnato solo dalla sua sei corde griffata LLDCE ci sputa “Oceano di Gomma” degli After. Sussulti. Rientra il resto della compagnia, e “Le Ragazze Kamikaze” chiude per davvero il concerto, con tanto di finale cantato/urlato dal Brondi ai bordi del palco, lontano dal microfono. D’effetto.

Sensazioni strane. Tornando a casa riascolto il cd ma quella magia la sento di nuovo lontana. Sono confuso, ma senza dubbio soddisfatto del concerto. Forse questa serata ha annientato d’un botto qualsiasi critica/dubbio/perplessità avessi nei confronti delle Luci. Almeno fino al prossimo album.

Bravo Vasco.

Ogniadolescenza

 



Sogni Acidi

Avete presente quei film sugli anni ’60 – ’70 con quelle sequenze in cui una bella ragazza si mette un cubetto di LSD sotto la lingua e con aria rilassata e svenevole butta la testa all’indietro e si lascia andare al flusso di coscienza? Ecco. Phosphene Dream è quel cubetto di LSD. Se già da Direction to See a Ghost (Light in the Attic 2008), il quintetto di Austin ci aveva dato un saggio della propria vena psichedelica caratterizzata da ossessioni fredde, dilatazioni e atmosfere fumose, timbri e modulazioni sonore che riportavano la mente all’evanescenza dei Velvet Underground di Venus in Fur (dai quali il gruppo trae anche ispirazione per il proprio nome, ripreso da The Black Angel’s Death Song); in questo terzo lavoro il discorso cambia leggermente, spostandosi verso derive decisamente più assolate, giungendo fino in California. Influenze flower power e beat, unite a motivi che fanno pensare a gruppi come Jefferson Airplain e 13th Floor Elevator, invadono questo lavoro, donandogli un colore e una luce atipiche per chi ascolta da tempo i Black Angels. Sperimentazioni che non saranno facili da reggere per gli amanti della prima ora, almeno inizialmente. Tuttavia si tratta di farci un po’ l’orecchio e di capire, perché pezzi come il singolo Telephone, Haunting at 1300 Mc Kinley, Yellow Elevator #2, Sunday Afternoon e True Belivers sono delle creazioni ben riuscite, il cui senso sta proprio nel cambiamento e nella novità che questo gruppo apporta al proprio repertorio. Per citare Eric Fromm “la creatività richiede il bisogno di abbandonare le proprie certezze”, anche se di fatto i Nostri hanno solo spostato un po’ la mira.

Per coloro che non amano particolarmente i cambiamenti, non vi preoccupate, troverete pane per i vostri denti. Dalla traccia di apertura del disco, Bad Vibration, alla bellissima River of Blood, passando per Entrance Song e la disintegrata Phosphene Dream, vedrete che ci sarà da trasalire tra i deliri di paura, le vertigini e la sensualità che questo gruppo riesce a instillare solitamente in chi li ascolta. Inoltre non mancano le dilatazioni e quelle arie orientaleggianti che tanto care ci furono in Direction to See a Ghost. Non si può fare a meno di godere, insomma. E personalmente i momenti di piacere massimo sono gli strilli acuti di Alex Maas che con i suoi Uhhh! riesce dove nessuno può, almeno con me. Amo quest’uomo che strilla…

Dopo questa parentesi personale il consiglio è di ascoltare questo disco ripetutamente e portare un po’ di pazienza. Forse può apparire un po’ eterogeneo, ma non fidatevi delle apparenze.

LaPunk